CIAO KAKA'

Adesso che scorrono i titoli di coda della "telenovela Kakà", purtroppo conclusa con il finale più scontato e triste per i tifosi rossoneri, resta solo tanta amarezza: quella finta del giocatore, "costretto" a sacrificarsi per colpa della crisi economica che ha colpito duramente anche il Milan; quella altrettanto finta della società che non poteva impedire al giocatore di rinunciare a molti soldi (gli stessi che prendeva al Milan...); quella vera, verissima dei tifosi che si vedono privati di un idolo, del giocatore più forte e decisivo dell'intera rosa, del campione che doveva diventare la nuova bandiera e, chissà, magari nuovo capitano fra qualche anno. La sensazione più brutta e deprimente, però, non deriva tanto dalla cessione in sè, pur grave per motivi tecnici, quanto dalla consapevolezza di essere stati presi in giro, a partire da quel 19 gennaio in cui saltò la trattativa con il Manchester City, fino ad ora, quando siamo venuti a sapere che tutto era già stato deciso da una settimana ma non si poteva dire per non penalizzare la campagna elettorale di Berlusconi. Ancora una volta i sentimenti dei tifosi sono stati calpestati in modo vergognoso ed inaccetabile e questo non è giusto; il palleggiarsi delle responsabilità fra le parti, concluso con un salomonico "abbiamo preso la decisione di comune accordo per il bene del Milan" non serve certo a far stare meglio chi a gennaio aveva sognato che per una volta i sentimenti prevalessero sui soldi e invece ora si è risvegliato bruscamente scoprendo che in realtà il vile denaro è sempre al primo posto nel mondo del calcio e in suo nome è lecito anche ingannare spudoratamente chi ti permette con la sua passione e tanti sacrifici, economici e non, di essere ricco e famoso. Ammettiamolo subito: ci siamo cascati tutti, compreso chi vi scrive, quando Berlusconi annunciò in diretta TV in una fredda notte di gennaio che Kakà restava al Milan perchè i soldi non gli interessavano e privilegiava i valori della bandiera, della vicinanza, dell'amicizia, ricambiando il calore e l'affetto dei tifosi; allora si parlò del rispetto del contratto almeno fino alla naturale scadenza, se non addirittura di giocatore che voleva restare a vita per diventare una bandiera del Milan e anche un diffidente ad oltranza come me si era arreso: il sospetto che l'addio fosse solo stato rinviato di qualche mese per accettare la ben più allettante (dal punto di vista tecnico) offerta del Real Madrid che inevitabilmente sarebbe arrivata a giugno c'era, ma mi sembrava impossibile che tutto quello che era andato in scena in quella piovosa serata di gennaio fosse solo una montatura, una presa in giro e un gigantesco "spot pubblicitario" per la società Milan, il suo presidente e il giocatore, perchè ovviamente la figuraccia in seguito sarebbe stata doppia, sia per chi faceva dichiarazioni roboanti in televisione, sia per chi mostrava la maglia dalla finestra di casa battendosi tre volte il pugno sul cuore. Invece, a quanto pare, non c'è limite alla spudoratezza e ora che il "bluff" è stato visto e smascherato resta solo un profondo disgusto che nessuna spiegazione da entrambe le parti può mitigare.
L'unico consiglio che posso umilmente dare a chi si sente tradito e sta soffrendo è quello di non affezionarsi più ai giocatori, soprattutto in questo calcio moderno in cui non c'è più alcun rispetto dei sentimenti: "i giocatori passano, il Milan resta", oppure "non importa cosa c'è scritto dietro alla maglia, ma solo ciò che c'è davanti" nel senso che non deve interessare il nome stampato sulle spalle ma solo il simbolo della squadra che c'è sul petto; questi sono gli slogan che possono salvare i tifosi dagli inganni e dalla conseguente sofferenza, anche se capisco che in questo modo il calcio è meno magico e più freddo. Sostituire Kakà nel cuore dei tifosi e in squadra non sarà facile, ma il Milan non finisce con Kakà e continuerà ad esistere e, magari, a vincere: la disperazione e la rabbia dei tifosi oggi sono le stesse dell'estate 2006, quando fu un altro Pallone d'Oro, giunto giovane e poco conosciuto a Milano a partire carico di trofei e gloria verso altri lidi; sto parlando naturalmente di Shevchenko e del suo trasferimento al Chelsea, che doveva essere devastante per i destini del Milan; invece la squadra rossonera vinse Champions League, Supercoppa europea e Mondiale per club, mentre il giocatore fece una brutta fine, al punto che meno di un anno fa ha implorato di tornare a Milano con la coda fra le gambe e l'aria del cane bastonato. Non sono così cattivo da augurare a Kakà la stessa fine, ma voglio solo dimostrare che la vita continua anche senza di lui e non è detto che il prossimo Milan non possa essere addirittura più competitivo degli ultimi con Kakà in squadra, se verrà costruito con intelligenza e seguendo un progetto e non solo collezionando bidoni a fine carriera e figurine. In fondo la domanda da porsi è sempre quella, cambiando ogni volta solo il nome del giocatore: "E' Kakà ad aver fatto grande il Milan o è il Milan ad aver fatto grande Kaka?". Forse la verità sta nel mezzo, cioè Kakà ha aiutato il Milan a vincere molto ma anche il Milan ha fatto in modo che Kakà diventasse uno dei giocatori più forti del panorama mondiale. Lasciarsi con rancore non serve a nulla: il mondo va così, il calcio va così e quando pochi giorni fa dicevo che con l'addio di Maldini il Milan ammainava l'ultima bandiera mi riferivo proprio a questo, ovvero al fatto che d'ora in poi sarà difficilissimo, per non dire impossibile che un giocatore resti in eterno nella stessa squadra; non fidatevi di dichiarazioni estemporanee di fedeltà alla maglia, magari dettate dall'entusiasmo per una vittoria o per una grande stagione; professionista vuol dire ormai mercenario, così come per le società c'è la possibilità di guadagnare bene quando i giocatori sono ancora all'apice della carriera, quindi spesso si giunge a queste situazioni in cui le parti trovano facilmente un accordo per il bene comune e gli unici a rimetterci e soffrirne sono i tifosi, nel caso in cui si siano affezionati al giocatore. Una sola cosa mi ha stupito nelle prime dichiarazioni di Kakà da giocatore del Real: ha detto che in fondo al Milan aveva vinto tutto e aveva bisogno di cambiare ambiente e trovare nuovi stimoli e in quel momento ho pensato che quando in passato aveva affermato di voler rimanere a vita nel Milan diventandone una bandiera, non aveva capito niente di cosa voglia dire essere una bandiera e, soprattutto, non gli era servito a nulla frequentare per sei anni lo stesso spogliatoio di Maldini, uno che aveva già vinto tutto con la stessa maglia quando Kakà era ancora un bambino e che nonostante ciò non ha avuto bisogno di cambiare ambiente per trovare nuovi stimoli, ma ha continuato ad allenarsi con serietà ed impegno fino a settimana scorsa, ha giocato e vinto per altri vent'anni sempre con la stessa maglia rossonera ed è stato un meraviglioso esempio per tutti anche per quelli che, evidentemente, non hanno saputo imitarlo. In ogni caso, ciao Kakà e grazie di tutto, abbiamo passato sei anni meravigliosi insieme anche se l'addio è arrivato troppo presto e in modo traumatico, beffardo e un po' bugiardo; ricorderemo per sempre le tue magie in campo, i tuoi gol, le tue volate brucianti che lasciavano sul posto i difensori e ci esaltavano, strappandoci applausi e ovazioni, ma vogliamo dimenticare al più presto quel 19 gennaio, la notte dell'illusione dell'amore eterno e questo 9 giugno, la notte della delusione per l'addio, un addio ormai annunciato ma che non per questo fa meno male.
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