Mihajlovic a Sky, i ricordi della guerra: "Pensavo fossero tutti impazziti, un amico croato mi costrinse ad andarmene perchè non mi uccidessero"

Mihajlovic a Sky, i ricordi della guerra: "Pensavo fossero tutti impazziti, un amico croato mi costrinse ad andarmene perchè non mi uccidessero"MilanNews.it
© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews
sabato 2 aprile 2016, 07:44News
di Simone Nobilini

Tanto calcio, ma non solo. Anche il difficilissimo periodo della guerra balcanica ha fatto parte della vita di Sinisa Mihajlovic che, visibilmente commosso, ha raccontato a "Mister Condò" su Sky Sport i principali ricordi al momento dello scoppio del conflitto, ed il successivo ritorno a Vukovar più di 20 anni dopo: "Da noi, nella ex Jugoslavia, si andava a fare il controllo medico prima di essere chiamati fare il militare. Come nazionalità scrissi “Jugoslavia”, e quando tornai a casa (avrò avuto 16-17 anni), ho parlato con mia madre e gli ho chiesto di che nazionalità fossi, ricevendo in risposta un “tu sei slavo”. Ho padre serbo e madre croata, di solito si prendeva la nazionalità del padre ma non c’era nessuna distinzione, si parlava sempre e solo di Jugoslavia con Tito. A 18 anni giocavo a Vojvodina, un città a 80 km da casa mia, c’era un mio amico (che nemmeno sapevo fosse croato) che aveva un bar: l’ho salutato, e non rispose. Mi disse che non sarei più potuto andare in quel locale perchè non era un locale per i serbi, e senza chiedere nulla me ne andai. Due mesi dopo iniziò la guerra, ero in vacanza con i miei amici ad Ibiza: sentivo mia madre parlare al telefono e gli spari attorno, sono subito tornato indietro. I miei genitori non volevano andare via da casa, ma rischiavano: il mio migliore amico mi disse che dovevamo andarcene per non essere ammazzati.

Dopo due giorni tornò e prese una pistola, sparando su una foto sulla mia fronte: quel mio stesso amico avrebbe poi buttato una bomba nella mia casa, pensavo fossero tutti impazziti. Sono rimasto con questo dubbio per 10-12 anni. Quando abbiamo giocato la prima partita dopo la guerra, nelle qualificazioni per gli Europei a Zagabria, con Boskov CT, chi avesse vinto si sarebbe qualificato. E quel mio amico croato venne a trovarmi in hotel: mi disse che anni prima doveva fare qualcosa per dimostrare di essere croato, doveva fare un gesto estremo per metterci paura e per salvare le nostro vite. Non c’è un vincitore, tutti perdono, il colore predominante del conflitto è stato il rosso sangue di tanta gente che non c’entrava niente ed è morta, quella guerra ha tanti colpevoli. Quando tornai nel ’91, non riconobbi più la mia casa: era tutto raso al suolo, c’erano scheletri nei palazzi. Ho visto due bambini che si avvicinarono a me, avevano 10 e 11 anni: mi impressionarono i loro occhi, da grandi, tristi, che hanno vissuto tutto tranne che l’infanzia, e mi venne una tristezza immensa. Tant’è vero che dopo quell’autunno non tornai più a casa mia, il mio pensiero andava alle macerie e non al paesino bellissimo che avevo vissuto: quando sono tornato recentemente, decisi di farlo perchè lo sognai più volte".