Mihajlovic a Sky, i ricordi della guerra: "Pensavo fossero tutti impazziti, un amico croato mi costrinse ad andarmene perchè non mi uccidessero"

Tanto calcio, ma non solo. Anche il difficilissimo periodo della guerra balcanica ha fatto parte della vita di Sinisa Mihajlovic che, visibilmente commosso, ha raccontato a "Mister Condò" su Sky Sport i principali ricordi al momento dello scoppio del conflitto, ed il successivo ritorno a Vukovar più di 20 anni dopo: "Da noi, nella ex Jugoslavia, si andava a fare il controllo medico prima di essere chiamati fare il militare. Come nazionalità scrissi “Jugoslavia”, e quando tornai a casa (avrò avuto 16-17 anni), ho parlato con mia madre e gli ho chiesto di che nazionalità fossi, ricevendo in risposta un “tu sei slavo”. Ho padre serbo e madre croata, di solito si prendeva la nazionalità del padre ma non c’era nessuna distinzione, si parlava sempre e solo di Jugoslavia con Tito. A 18 anni giocavo a Vojvodina, un città a 80 km da casa mia, c’era un mio amico (che nemmeno sapevo fosse croato) che aveva un bar: l’ho salutato, e non rispose. Mi disse che non sarei più potuto andare in quel locale perchè non era un locale per i serbi, e senza chiedere nulla me ne andai. Due mesi dopo iniziò la guerra, ero in vacanza con i miei amici ad Ibiza: sentivo mia madre parlare al telefono e gli spari attorno, sono subito tornato indietro. I miei genitori non volevano andare via da casa, ma rischiavano: il mio migliore amico mi disse che dovevamo andarcene per non essere ammazzati.
Dopo due giorni tornò e prese una pistola, sparando su una foto sulla mia fronte: quel mio stesso amico avrebbe poi buttato una bomba nella mia casa, pensavo fossero tutti impazziti. Sono rimasto con questo dubbio per 10-12 anni. Quando abbiamo giocato la prima partita dopo la guerra, nelle qualificazioni per gli Europei a Zagabria, con Boskov CT, chi avesse vinto si sarebbe qualificato. E quel mio amico croato venne a trovarmi in hotel: mi disse che anni prima doveva fare qualcosa per dimostrare di essere croato, doveva fare un gesto estremo per metterci paura e per salvare le nostro vite. Non c’è un vincitore, tutti perdono, il colore predominante del conflitto è stato il rosso sangue di tanta gente che non c’entrava niente ed è morta, quella guerra ha tanti colpevoli. Quando tornai nel ’91, non riconobbi più la mia casa: era tutto raso al suolo, c’erano scheletri nei palazzi. Ho visto due bambini che si avvicinarono a me, avevano 10 e 11 anni: mi impressionarono i loro occhi, da grandi, tristi, che hanno vissuto tutto tranne che l’infanzia, e mi venne una tristezza immensa. Tant’è vero che dopo quell’autunno non tornai più a casa mia, il mio pensiero andava alle macerie e non al paesino bellissimo che avevo vissuto: quando sono tornato recentemente, decisi di farlo perchè lo sognai più volte".

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